Nato nel 1968 a Napoli. Inizia la sua attività di pittore nella bottega d’arte paterna fin dai primi anni, affiancando ad una esperienza diretta e manuale del dipingere un percorso di studi interamente improntato ad una ricerca artistica.
Dopo la maturità d’arte applicata e il diploma di laurea conseguito all’ Accademia di Belle Arti di Napoli, approfondisce gli studi di “estetica” attraverso il conseguimento della laurea in filosofia, presso l’università Federico II di Napoli.

Percorso

Per me il dipingere è stato sin dall’inizio l’espressione di una mancanza, la volontà di colmare un vuoto. Assenza che ha tracciato le direttrici entro le quali si è mossa poi tutta la ricerca.
La scelta di un soggetto non poggia mai tra alternative, ma è sempre dettata da un impulso che letteralmente costringe in quella direzione e non altrimenti.
È come se fossi vittima passiva di una pressione interiore a cui non è possibile resistere in una sorta di coazione che spinge a ripetere il medesimo quadro.
Quadro che al di là della tecnica utilizzata è sempre l’espressione della medesima tematica. Il linguaggio naturalmente è cambiato nel corso degli anni e questo non solo nella scelta dei materiali, ma anche nella esplicitazione del concetto, nella costante analisi di trovare l’espressione più adeguata all’indagine. In questo senso il percorso è partito da una chiara figurazione e attraverso una linearità quasi geometrica con l’utilizzo del ferro e del acciaio è approdato poi, con i miei ultimi lavori, ad una visione sicuramente più lirica e celata, che meglio riflette naturalmente quelle che sono le mie personali esigenze di espressione.
Il raccoglimento, l’introspezione, il chiaro rinvio alla simbologia cristiana prima e ad una atmosfera mistica e ascetica dopo, rappresentano concetti che formano una sorta di unico grande quadro che collega i primi lavori agli ultimi.

DIFETTO

Dipingere equivale ad uno stato di tensione assolutamente spasmodico, che si tramuta letteralmente in un malessere fisico, una coscienza di totale incertezza prima e di impotenza dopo di fronte all’impossibilità di raggiungere un senso di assoluta perfezione. Prigioniero e schiavo di un pensiero che anela ad una dimensione di purezza e che puntualmente e miseramente si schianta contro la presenza inevitabile ed ineluttabile del difetto. Congenito e fisiologico rispetto al materiale utilizzato e alla propria manuale lavorazione.
Il difetto è inteso come ciò che contamina, inquina, avvelena uno slancio verso l’inafferrabile, l’impercettibile. Evidentemente sintomo e segno tangibile della fragilità e precarietà di un processo, di un percorso, ma soprattutto manifestazione dell’impossibilità di attraversare la corda del funambolo, di raggiungere l’altra torre come meta agognata.
Un viaggio introspettivo, ascetico, trascendente che anela ad una dimensione altra e che invece nell’abisso della caduta trova il suo epilogo.
Il circolo si ripete, il medesimo cerimoniale, la necessità di avere tutto sotto controllo, la tensione del trasporto e della successiva piegatura, la preparazione del foglio e la scelta del colore e poi la stesura del colore con i vari passaggi. Ogni singolo momento della lavorazione è delicato e carico di insidie.
È la necessità di portare avanti la ricerca a conferire sostanza al cammino in una irrefrenabile ed irrazionale volontà di procedere, di avanzare verso quella dimensione della quale pur non avendo una chiara percezione si avverte una profonda mancanza.

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